scritti postumi di un mercoledì.

Ci provo.

Una bocca m’ha detto che dovrei essere più distratto.

Il problema sarebbe esserlo nei momenti sbagliati, quando se non ci fosse la lucidità non so dove finirei.

Però provo a non stare fermo. Almeno questo.

Pranzo fuori anche se ho solo pochi spicci in tasca. Tanto fame non ce n’è.

Il biglietto d’andata lo trovo in una vecchia tasca. Per il ritorno si vedrà, “per pagare e per morire c’è sempre tempo”.

I miei occhi sono stanche carezze che si posano sulle cose, sulle persone, senza differenze. Divento un bambino che porta tutto alla bocca per scoprirne il sapore. Quasi a voler dimenticare l’amaro viscido che porto in bocca, che non mi fa più baciare per paura di contagiare. Mi stordisco con radici di liquirizia, lascio sfogare i denti già sanguinanti. Come gli occhi, anche oggi.

 

Atarassia. Non ricordo cosa significa. Ma ha il suono giusto per chiamare questo momento. Stanco, stordito, senza forze per urlare, quieto, docile leggero.

Lascio scorrere una musica dolce nelle orecchie. non c’è suono più dolce di un flauto. Lascio che sia la mia consolazione. E non mi chiedo se me la merito. Non me ne lascio il tempo. Tra un passo a vuoto e l’altro.

 

Guardo le mie mani. Tra le linee delle piaghe mi sembra di riconoscere tutte le scelte sbagliate di quest’ultimo anno.

Ora che improvvisamente sono diventati 25. E sembrano tantissimi. Troppi per ritrovarmi qui, a guardare le mie mani, trovandole vuote. Piene solo di linee che sono ricordi, che sono strusci di ciò che è scivolato via, di quello che non sono riuscito a prendere, di carezze abbandonate.

scritti postumi di un mercoledì.ultima modifica: 2009-11-25T16:53:49+01:00da ma.el
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