ISPIRATO AD UNA STORIA VERA

Accanto a me sul comodino libri sul training dell’attore, sull’antropologia teatrale e drammi pieni di Arte… Potrei toccarli con la mano, ma continuerei a sentirli lontani un mondo da me stasera.

“Il regista è uno che deve saper parlare tante lingue”. Questa una delle frasi che B. mi ha ripetuto all’inverosimile, col suo tipico sorriso da bambino incantato e inconsapevole, orgoglioso di essersela sentita attribuire da un lecchino che lui credeva in gamba.

Parlare tante lingue, si, si riferiva di certo ad altre, che lui parla bene… ma questa, questa è di sicuro la peggiore. Ti si attacca addosso come un dialetto e forse è altrettanto difficile da cancellare. Tecnicamente un attore la definirebbe “sporcatura”. E anche fuori dal gergo tecnico è sporca lo stesso, anzi sicuramente di più.

“Balbo” mi passa a prendere per le 21.15. ho l avorato intensamente per mettere su in pochi giorni questo progetto. Sono teso perchè mi è venuta fuori una cosa bellissima di cui spero di essere all’altezza. E prima che arrivi sono teso perchè so che per realizzare questa cosa bellissima dovrò vincere questa serata.

Dovrò vincerla con lui, che chiamerò “Balbo”, perchè devo convincerlo che vale la pena anche se avrà meno di quello che vorrebbe. Dovrò vincerla con “La Camicia” che dovrà aiutarmi. Dovrò vincerla con quella parte di me che non vorrebbe trovarsi lì, a parlare quella lingua, a chiedere quell’aiuto, a sentirsi una qualsiasi risposta in quella lingua, a dover cercare e sperare di disintossicarsi poi, cancellare quel dialetto dalla bocca, dalla mente, dal cuore, dai ricordi. Quasi far finta che sia stato un’altro – ogni finzione richiede un po’ di schizofrenia, soprattutto quella con se stessi. E poi vincere tutte quelle persone che porto con me, dentro, che sarebbero contrarie a queste cose. Però sanno. Sanno che sto andando, sanno la lingua che dovrò parlare… e forse sono dietro di me con il loro “in bocca al lupo” perchè sperano che io riesca a comprenderla e a vincerla, perchè in fondo sanno che ci sarò io lì e non loro. Vorrei avere le spalle abbastanza larghe da proteggerli dagli schizzi di tutto questo, dalle eco di quelle parole; ma significherebbe immergermene io a pieno. Non so quanta forza avrei, so solo che riesco a comprenderla questa lingua, e a risponderle. Sarà che sono cresciuto sentendone parlare, sempre male, ma è comunque un’analisi, una qualche conoscenza…

ho schifo sulla pelle e continuo a scrivere sperando scivoli via con l’inchiostro.

“Balbo” passa alle 21.15 e prima di uscire ero teso ma non ho avuto il modo di sfogarmi. Canalizzo tutto in un’adrenalina esplosiva, energia per vincere, come mi ha insegnato l’amato Teatro. Entro nella sua Mercedes figlia di un imprenditore edile e con un gran sorriso esordisco espandendo la gioia degli ultimi acquisti per il progetto: avremo professionisti della Commeida dell’Arte, oltre a Clown e a Teatro Ragazzi. Sta andando tutto al meglio da quel punto di vista. So che a lui non è questo che interessa, sperava in altri tipo di interessi. Ormai ha capito che io voglio fare cose fatte bene, non solo fuffa, lo ha mandato giù e ha creduto al mio discorso “è meglio anche per te avere lavori di qualità…”, se l’è bevuta insomma, ma so che comunque è altro che gli frega. Scendo a patti linguistici, e non solo; chiarisco che il 10 % sarà suo. Non obietta, ma ripete che sperava di poterci spartire noi la metà del totale e per la prima volta mi tira in ballo “Il Fighetto” con cui ha il patto di dividere tutto (si sta facendo fregare come previsto) e contava di dividere a terzi le nostre parti. Io non sapevo volesse metterci dentro pure lui, con leggerezza lo dico e passo oltre facendo la parte dell’invasato partito in quarta col suo progetto e che non ha intenzione di cambiare direzione. Se vuole dividere la sua parte faccia lui insomma, ma indoro il tutto ripetendo che su alcune cifre ci si può giocare in suo favolre . La mia compagnia lo sa e sa che per arrivare a questa bellissima cosa dovrò sporcare la voce e le mani. E’ un po’ la legge del Tao, ma io voglio la parte bianca col punto nero, non il contrario.

Ha paura che facendo gestire formalmente la cosa alla mia compagnia possano fare problemi “i-i-i-impazzire e p-prendersi tutto” dice lui. Lo rassicuro, gestirò solo io la cosa e loro sono d’accordo anche in queste scelte, purchè abbiano modo di far uscire un buon lavoro.

Segue il navigatore satellitare a cazzo di cane e alla fine parcheggiamo in un punto vago del lungotevere. Cambiamo argomento, del più e del meno, anche se i suoi “più e meno” sono molto diversi dai miei, fatti di “culetti da spaccare”, “candidati da bruciare”, “parcheggi pericolosi per le me-me-merde degli uccelli” e una palma illuminata che chi cazzo l’avrà messa affacciata sul Tevere. Altra lingua, ma con lui ho faticosamente imparato ad assecondarlo, biascico commenti da spalla tra i suoi intoppi della balbuzie e per il resto mi faccio i fatti miei. Soggezione zero, sono io a poter fare a meno di lui più del contrario ormai. Anche se stasera l’incontro è tutta opera sua.

Dopo aver battuto come vagabondi i vicoli di via del Corso, ottendndo indicazioni valide solo dieci metri alla volta, come una caccia al tesoro, arriviamo finalmente sotto il palazzo giusto, davanti un teatro, fatalità. Lì ci aspetta “La Camicia”. È come me lo immaginavo dagli accenni di descrizione, un aspetto inconfondibile, di certo non passa inosservato pur mantenendo nell’insieme una sua “normalità”.

Presentazioni brevi di rito, velato reciproco studio. E’ un tipo molto informale, anche quando racconta delle sue discussioni in Consiglio Comunale e, sarà l’età giovane e il fatto che il mio accompagnatore è un suo vecchio compagno di scuola, mi ritrovo a dargli subito del Tu con agilità, senza fronzoli.

Cerchiamo un posto dove sederci, mangiare e bere qualcosa. E ridiamo notando la sede di partito con la bandiera che affaccia su un locale di strip, eloquentissimo. “La Camicia” è di quel partito, ma quasi si giustifica quando deve ammetterlo e io porto bene la mia maschera neutrale.

Entriamo in un ristorante-birreria, tavolo all’angolo della sala. Io ho già cenato e non mi sforzo di accompagnare il loro pasto, prendo solo una birra.

Dopo l’ordine “Balbo” prova ad entrare nel discorso iniziando a raccontare la nostra collaborazione, ma al suo secondo impaggio tartagliante prendo in mano il discorso, respiro, ed espongo il mio progetto per il bando. “La Camicia” ascolta interessato dopo essersi confessato ignorante in materia teatrale. La mia prima versione è quella che piace di più a me, quella bella artisticamente. Forse è per trovare con l’entusiasmo la forza di andare avanti. Forse spero ancora che basti solo quel piano di discussione. Vengo smentito prontamente dopo il primo sorso di Peroni. “A me non interessa quello che ci fate con i soldi…”. Ok, ero preparato, passo al secondo livello che mi ero preparao con ingegno come un asso nella manica: ho coinvolto molte associazioni e compagnie diverse, questo oltre a moltiplicare il valore tecnico con una artistica spirale virtuosa è un modo per poter mettere in campo realtà e gruppi di persone che possano rappresentare un bel piatto politico. Sono fiero di questa sottile tessitura (o modo di infiocchettare il tutto) e anche loro sembrano stupiti della bella mossa. Ma è inutile, ho preso ancora male la mira, pur con una bella freccia.

“Non lavoro così io, sono all’antica, a me interessano pochi voti ma sicuri, quindi mi fa piacere fare un favore a voi e sono contento se riuscite a fare i vostri interessi prendendo quello che volete, perchè così so di avere maggiori certezze rispetto a tanti assensi vaghi… quelli ci stanno comunque e al comune contano diversamente, poi le elezioni sono ancora lontane.”. Ripensandoci non so come ho fatto a non farmi scalfire, forse semplicemente anche io ero sceso a quel livello, e ci stavo davvero se non mi sono alzato per andarmene.

Invece sono rimasto lì, parlando quella lingua o almeno capendola. Intanto un cameriere stempiato dava sfoggio della sua giocoleria calcistica palleggiando un’arancia nel centro della sala tra l’incitamento dei clienti.

Torniamo a parlare del progetto e ora mi chiede di più sulla mia organizzazione. Non so se è lui ora a cercare di capire la mia lingua per conquistarmi dopo che io c’ho provato con lui, non so se si è incuriosito davvero, ora penso forse un poco di si, che gli piacesse e fosse curioso di capirlo… so solo che ad un tratto mi ha parlato di un suo conoscente, un musicista, e con la massima serenità mi ha chiesto se poteva essere inserito, se era utile.

Io ho strappato un gran sorriso, mentre con fierezza e un guizzo (del cazzo) negli occhi tiravo fuori per la prima volta la mia bozza scritta in due giorni di lavoro intenso. Spiega che a quanto sa dovrebbe essere pure bravo e intanto mostro tra quei fogli la voce in cui mancava proprio un musicista nell’elenco. Mi mancava proprio! E solo momentaneamente era inserito il mio nome,,, Si, vero, lo cercavo. Ma più che lui quel sorriso da “Guarda che fortuna!” voleva convincere me. Volevo con-vincere me.

Il cameriere stempiato porta al tavolo accanto un piatto con un wurstel messo a forma di verga, due olive ascolane per coglioni e della maionese sull’improbabile cappella. Fiero della sua simpatica genialità mostra alla folla la sua creazione e inneggia alla òla mentre il malcapitato cliente deve mimare un morso fallico. Ne ridiamo sconcertati, commentando che mai ci saremmo prestati a niente del genere. Ma in fondo, da bravi italiani, sorridiamo anche noi, finchè capita all’altro tavolo…

Al caffè si consumano gli ultimi dettagli, domani parla a chi di dovere e se sono libero lo raggiungo io direttamente. Prende il mio numero, prendo quello del “musicista” e più tardi prima di salutarci mi darà il numero di un esperto di come presentare al meglio il piano economico. Dice che potremmo specularci sopra anche facendo pagare un’alta iscrizione all’associaizone, “Balbo” appoggia l’idea, io cerco appigli per oppormi.

Usciamo. Ho finito le sigarette e ne vorrei un’infinità per sporcare i polmoni quanto le mani.

Il peggio è passato, anche se durante la serata tornerà sempre sulla bocca più volte; anche se ora risuona con tutta la sua violenza, anche se ho il terrore mi rimarrà attaccato alla pelle. Penso alla fine, alla parte bianca del Tao, alla cosa bella che sto permettendo di realizzare, al fatto che tutto in fondo è nelle mie mani e lo sto portando il più possibile verso qualcosa di buono e rimanendo sincero con tutti gli interlocutori. Io mi occupo di teatro, mi piace il teatro, non voglio altri interessi ma so parlare questa sporca lingua e so che se non mi presento io quei soldi verranno offerti a qualcuno che è dall’altra parte del Tao, quella nera col puntino bianco.

La serata non finisce, è mezzanotte e mezza e per tornare tutti e tre alla macchina ci perdiamo di nuovo.

“La Camicia” si svela un personaggio con degli aspetti indubbiamente interessanti, una profonda cultura storica e del diritto e un’incantevole curiosità per le mille porte nascoste tra gli interstizi dei monumenti che mai avevo notato prima. Chi ci vive dentro le mura della porta di piazza del Popolo? C’è il campanello su una portoncina e anche una telecamera… e poco più in là, il cancelletto sul ponte della metropolitana?

“Balbo” sfoga la sua passione per i gossip delle poltrone politiche, ma la sua soggezione è palpabile e presto si metterà in secondo piano come spalla di turno. “La Camicia” sembra rivelare una piacevole attenzione verso i momenti in cui parliamo la stessa lingua. Forse sono io che sto riusciendo a vincere lui, forse è lui che crede di potermi vincere così. Forse davvero potrebbe vincere il mio voto facendomi passare il progetto.

Inizia a piovere a dirotto e anche se dura poco siamo costretti a correre per raggiungere la macchina interrompendo il racconto dei segreti malavitosi del mio quartiere. Altra tappa: bar notturno nella nostra zona. Stavolta insisto per offrire io visto che prima non mi hanno fatto pagare. Ormai la notte entra nelle vene, le peripezie della passeggiata hanno sciolto le chiacchere che da “informali” sono diventate cameratesche. Spunta l’identikit sboccata della donna perfetta, infiocchettata da vezzi stilistici del tipo “preferisco un poco di culo in più, poco, ma non le braccia flaccide!”, si passa all’amico incontrato al bar sparito dietro l’angolo per tirarsi una striscia, da aspettare perchè “Non ho mai visto gli effetti subito dopo dall’esterno. Nel ’96 la provai anche io una volta…” con seguito di racconto intellettuale sulle sensazioni arricchito da una sincera modestia per l’ignoranza medica in materia. Segue il discorso sulla casa chiusa di Perugia, con tanto di racconto dettagliato sul funzionamento, conosciuto dal vivo, e proposta di festino da organizzare. Si arriva a giri vari tra soldi, tanti, per comprare politici, segretarie scelte tra le amanti, dispetti tra istituzioni, ironiche proposte sessuali in cambio di favori a giovani ragazze.

Rimango in scena col mio personaggio, che comprende quella lingua, commenta la battuta senza sgarrare, ma viene e fa parte di un altro mondo, è solo lì di passaggio.

Un passaggio che mi riporta a casa, con quella Mercedes.

Non so quanto sono riuscito a tornare dov’ero, forse non potrò più.

So che sono le sei di mattina e tra poche ora potrà svegliarmi una chiamata per portarmi a parlare ancora quella lingua, senza essermi potuto spurgare nemmeno un po’.

Spero solo che tutto questo inchiostro versato, almeno per il sonno, riesca a farmi dormire.

Giorno seguente

“…LA FACCIA DI MIO PADRE PRENDE FORMA SULLO SPECCHIO, LUI GIOVANE IO VECCHIO, LE SUE PAROLE RIMBOMBANO DENTRO AL MIO ORECCHIO…”

Come vogliono quei pochi libri di psicologia che mi sono passati sotto il naso, è il confronto con l’immagine dataci dai nostri genitori a caratterizzare buona parte della nostra esistenza. Delle nostre scelte.

Stamattina ancora non mi chiama, ma meglio cosi’, ho potuto dormire piu’ di quattro ore e ora ho modo di fare chiarezza con piu’ tranquillita’, di assorbire il dovuto e lasciare che questo forte temporale spazzi via il resto. A volte sono troppo intransigente con me stesso, non accetto di finzioni personali, almeno con me esigo di essere sincero. La morale viene dopo, se c’è ancora. Stanotte non capivo quanto stessi cercando di indorarmi la pillola, ora vedo più chiaramente che meglio di così potevo fare poco, cioè non fare niente. Le lotte moraliste in realtà si rivelano solo uno scontro con l’eco dei racconti di mio padre, degli aneddoti sentiti da bambino dei compromessi che ha rifiutato, della limpidezza mantenuta rispetto a certe cose. E in certe situazioni anche per rimanere limpidi bisogna lottare.

Poche parole adesso, in un piccolo buco del quotidiano, ma che valgono a migliaia. Dice che purtroppo non posso rimanere fuori da certi contesti se capitano, l’importante è rimanere fedeli alla propria voglia di far bene e seguire quella. Frasi che scrostano via il marciume che sentivo addosso, so di aver combattuto con le mie armi per qualcosa di buono, e se la lotta lascia schizzi di sporco è cosa da poco, vista la rarità della mia battaglia. Si, rara a quanto sembra, paradossalmente.

Non riesco ancora a sentirmene felice, ma forse ne esco incolume, se non intatto. Orgoglioso ancora no, forse mi ci sentirò solo alla fine, se tutto andrà bene e riuscirò a gestire le varie pressioni senza spostare il baricentro.

Ma pensandoci bene, ieri sera, ho dato dimostrazione di quello che voglio e del limite di compromessi che sono disposto ad accettare. E se passerà il progetto avrò vinto. Con qualche perdita, ma necessaria.

Dura lex sed lex.

 

 

 ISPIRATO AD UNA STORIA VERA. I NOMI DEI PERSONAGGI SONO TUTTI DI FANTASIA. OGNI RIFERIMENTO A PERSONE, COSE O FATTI SONO PURAMENTE CASUALI.

ISPIRATO AD UNA STORIA VERAultima modifica: 2008-11-13T16:03:33+01:00da ma.el
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