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la porta si aprì e lei

 

 

dormiva.

 la camera in disordine e ai piedi del letto panni da sistemare.

e poi lei, a pancia in giù, con i piedi ancora impuntati.

doveva essere crollata.

aveva fatto appena in tempo a schiaffarsi il cuscino sopra la testa.

odiava la luce quando dormiva.

 lui la odiava anche di giorno.

carezzò il suo corpo con uno sguardo.

ancora più leggero perso in quel sonno pesante.

la veste lasciava scoperte le gambe, vellutate.

pensò alla camminata buffa che avevano, e la ritrovò, in una strana alchimia, immersa nella loro bellezza.

 il computer acceso sulla scrivania, qualche libro aperto.

 si sedette a terra, accanto a lei, tra il letto e la finestra chiusa.

 dal balcone facevano capolino i tetti della città. era un panorama splendido.

da quel nono piano si riusciva a distinguere dove finiva la metropoli.

pensò che in ventitrè anni cresciuti lì non era mai riuscito in un colpo d’occhio ad abbracciare tutta la città.

e lei la prima sera che vi aveva dormito aveva potuto vedere quel mare di tetti e finestre spegnersi sotto il sonno della luna.

era un pensiero accompagnato quasi da invidia.

eppure forse la facilità di quel colpo d’occhio aveva spento tutta la curiosità di entrarvi dentro. di perdersi nella ragnatela di strade, scoprirne i più intimi segreti.

lui questo in ventitrè anni non lo aveva mai perso.

 dormiva profondamente.

probabilmente sognava.

 non era sua abitudine in pieno pomeriggio. ma non era sua abitudine nemmeno far tardi come la sera prima.

preferì lasciarla accarezzare ancora da morfeo, trattenendo le sue, di carezze.

la seta delle sue mani stava divenendo cristallo, a forza di trattenere carezze.

 

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evitare lo specchio.

 prima che le porte dell’ascensore si aprissero il comando balzò nella mente.

ulteriori riflessi erano da evitare quanto più possibile.

oggi era giornata da autostima fisica sottoterra, e c’erano altri pensieri da tenere vivi.

per tutto il viaggio in metro si era sforzato di non perderli, stando attento a distrarsi con cautela. non bisognava pensarci troppo per non lasciarli spengere, ma nemmeno rischiare di dimenticarli come spesso era accaduto.

premendo il tasto fece rassegna delle lucide delusioni con cui si sarebbe presentato.

lei non aveva idea nemmeno di questo.

 di come ogni volta il viaggio moltiplicasse il distacco mentale tra i due mondi. ed era lui il navigatore che si immergeva in quello di lei. ed era lui che poi, tornando a casa, si sentiva solo. in un mondo unicamente suo. forzatamente inviolato, dall’aria stantia di pensieri rimbalzati troppe volte tra le pareti prima di spegnersi.

e ora quell’ascensore era l’ultimo traghetto.

ripassava la voce che aveva aperto il citofono. non doveva essere sua, ma non ne era sicuro. un “chi è?” gentile ma distaccato. e poi al nome nessuna risposta. non si sarebbe stupito troppo scoprendo che anche quel piccolo gesto di calore era ormai ricordo. ma dentro di sè erano campane a morto. cercò di sfruttare la sensazione per accrescere la delusione. ma dentro di sè sperava con forza non fosse lei, al citofono. doveva mantenere quel velo di lucida rabbia stavolta, lui che non sapeva sfogare niente, che sempre giustificava, comprendeva, non senza sofferenze, stavolta doveva esplodere in qualche modo. ma dentro di sè passava in rassegna le voci delle coinquiline sperando fossero loro, non poteva essere lei, così indifferente.

 ancora un piano e lei avrebbe rotto tutto.

proprio così; più concretezza portava lui in mente, più lei in qualche modo l’avrebbe distrutta con un solo gesto. totalmente inaspettato a lui, totalmente spontaneo a lei.

si, d’accordo, forse era una parte di lui che in fondo cercava quel dettaglio che facesse crollare ogni dubbio, ogni pesantezza nella testa. ma ogni volta che cercava con questa logica di mantenere la distorta lucidità, ogni volta un sorriso inaspettato, una parola diversa, un abbraccio più stretto, una sorpresa lo attendeva.

Chiudendo le porte dell’ascensore si chiedeva con quale sguardo lei lo avrebbe guardato, se sarebbe fuggita subito via presa dalle sue cose, se avesse lasciato spazio al suo sfogo di venir fuori. O se anche questa volta lo avrebbe sorpreso in qualche modo, lasciandolo in balia di un amore troppo forte per non sciogliere e avvolgere ogni altro pensiero.

 La porta si aprì e lei

 

 

 

 

-post-ultima modifica: 2007-09-29T13:00:00+02:00da ma.el
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