bottino

È stato così.Non so bene che sensazione lo accompagna ora.
Riccio m'ha detto che gli serviva un favore. A lui e a mio cugino.
A lui e a mio cugino.
Un "favore".
Semplice: accompagnarli all'albergo e lasciargli le chiavi della macchina. Non l'avrebbero sposata, solo aperto il portabagagli.
Partiamo in sei. Io, i due miei amici, Riccio, mio cugino e Andrea.
Lì avremmo potuto buttarci in una stanza a fare caciara, prendiamo la chitarra, si, dai.
Andrea scende a prendere la musica.
Chiedo a Riccio di che si tratta. Noi siamo pensierosi, preoccupati, contrariati. Vogliamo sapere cosa dobbiamo portare. Temiamo tutti la stessa risposta.
Riccio spaccia.
Non spinge solamente, spaccia.
E mio cugino, che c'entra?
Parla lui, riccio.
Si tratta di vino.
Lui ha lavorato lì in albergo, il custode è un suo amico. Vanno sempre lì a far caciara. E stasera, come altre volte, vuole approfittarne.
Vino. Bottiglie da centinaia di euro l'una. Già rivendute con giro organizzato.
Appoggio il braccio al volante, sguardo verso il finestrino.
So che se fosse stata droga me lo avrebbe detto. E non mi avrebbe chiesto, non mi avrebbe messo in mezzo. Conosco lui. Ancor di più mio cugino. Io sono sicuro di questo. I miei amici ovviamente no.
Silenzio dentro mentre lui parla, spiega.
Dico che non voglio sapere niente. Che mentre stiamo lì lascio le chiavi ma non voglio sapere niente.
I miei amici tacciono. Guardano in basso.
Torna andrea.
Andiamo.
In sei con la chitarra.
Spengo i fari, lascio la macchina in silenzio dietro il magazzino. Mi istruiscono sul da farsi.
Entra riccio, dopo pochi istanti è il custode ad accoglierci. Ventenne, Ennio, simpatico e tranquillo.
Attraversiamo i corridoi ognuno con sensazioni diverse.
Finiamo nella chiesa.
Strana stanza. Da una parte videogiochi,flipper. Poi un grande sipario separa dalla sala vuota. Quella una volta era il covo dei Monechitti, una setta leggendaria, dove facevano messe nere. Ora ci fanno celebrazioni religiose e incontri.
Noi suoniamo, la voce di andrea ci scalda.
Riccio esce e torna con panini, birra, limoncello; offre da padrone di casa.
Poi torna con due palloni; si fa baldoria.
Si fa baldoria mentre la stanza 208 si lamenta per il casino. Ennio ci para il culo e viene solo a dirci di far meno rumore.
Nella caciara Riccio e mio cugino se ne rivanno.
Giacomo torna con una chiave: numero 4.
Poi, dopo un po' di festa tra musica e pallonate alle colonne, ormai caldi e gasati, mi avvertono: vanno.
Gabro tace seduto. Chiuso. Raffo fa l'acrobata col pallone. Andrea canta. Io aspetto.
Tutto fatto. È meglio andare ora.
Dobbiamo portare il bottino da Giacomo.
Sensazioni diverse per ognuno.
Riccio non ha le chiavi di casa, vorrebbe andare via subito, abita vicino.
Insisto io e Giacomo, e lui capisce subito che è meglio che viene con noi. Che siano loro due a scaricare.
Scopro di non avere con me il portafogli, controllo per vedere se l'ho perso lì. Raffo dice che a casa lo aveva spostato lui. Spero e mi convinco sia lì.
Vuoi che guido io? Fa gabro. No, guido io. Ci sono dentro io. Volevo rimanessero lì. Volevo che fossimo il minor numero. solo io e loro due.
No, non mi lasciano solo.
E non vogliono rimanere lì. Sul luogo.
Andiamo.
In sei, con la chitarra, senza documenti.
E con il bottino nel portabagagli.
Hanno detto 5 casse.
Da centinaia di euro a bottiglia.
Penso a raffo che ha un pezzetto di fumo nel giacchetto.
Guido piano.
Sono le tre di notte e la strada è deserta.
La paura non c'è.
Non c'è mai stata.
Gabro pensa al racconto che ne farà nascere. L'aria inquieta, delinquente. La notte. I personaggi in macchina. I silenzi sospesi. Le immagini che rimangono impresse. I misteri. I dubbi. I piani. Le spiegazioni date poco alla volta.
Raffo dirà poi di aver chiesto a riccio se il custode sa. No.
Abbiamo migliaia di euro nel portabagagli.
E sensazioni diverse dentro.
Tutte da portare per poche centinaia i metri.
Arriviamo. Accosto.
Scendono loro due.
Raffo si offre ad aiutare.
Dirà poi che Riccio ha aperto davanti a lui una cassa, mostrando il contenuto di vino.
E' uno che sa cos'è la correttezza. Io lo sapevo e non ne avevo dubitato.
Mentre scendono in garage andrea fa poche domande, e solo ora capisce cosa sta succedendo.
Solo ora.
Non commenta. Forse per lui è più normale che per noi. Lui anche in fondo vive lì.
Non so che sensazioni ha lui dentro.
Tornano con una bottiglia di vino.
È per me. Non è del bottino. È di Giacomo che è rimasto a casa e me la manda.
Sa che del bottino non avrei voluto sapere niente.
Sa quanto è stato strano per me aiutarlo in questo.
Sa che non avrei voluto vederlo così.
Saperlo così.
Sa che non lo rifarò.
Sa che i miei amici sono stati in silenzio.
Lo sa anche riccio.
Riaccompagno andrea.
Ci saluta col suo calore vivace e puro. Spensierato. Non ci vedremo per un po'. Fino a che non tornerò a norma. Tra quelle vie, in quelle notti. Con quel vento lontano ad accarezzare tutto. A pungere.
Norma con i suoi silenzi.
Con il suo panorama che fa sembrare il mondo lontano.
E le montagne dietro a non far sentire padroni.
Solo piccoli.
Lontani.
E invisibili.
Riparto.
Fermo riccio nei suoi discorsi:
-non voglio che Giacomo si infili in queste storie.-
poche parole.
Chiare.
Quelle che bastano.

Finisce così la notte del bottino.
Inizia a casa quella della coscienza.
Davanti al silenzio di gabro che scuoto per far esplodere.
Ho bisogno anche della sua rabbia.
Della sua delusione forse.
Del suo richiamo alla responsabilità.
La morale.
Eravamo tutti e tre. si.
So bene però quanto sia stato io.
Quanto loro siano stati amici vivendo tutto con me.
Quanto loro forse si sarebbero comportati diversamente al mio posto.
Al loro è diverso. Ed è giusto così.
Anche se dividono le responsabilità.
Tutti abbiamo taciuto.
Spiego la mia preoccupazione per mio cugino.
Il mio voler esserci per una notte. Vivere questa vita, la loro; anche in questo.
Nasce in me la preoccupazione.
La malinconia.
Vivessi a norma, sarei anche io così?
So che non lo rifarei.
Ma viverlo è stato importante.
Poi l'abbraccio.
Che cerco.
Mi getto sui loro corpi.
Ne ho bisogno.
Stringo le loro mani.
Le stringo forte sul petto di gabro.
Sento il suo respiro.
E so che lui sente il mio. Il mio ritmo lungo, che riempie i polmoni per svuotarli poi di tutto.
Lui lo sente.
Ho bisogno di sapere che la mia vita è un'altra. È quella che vivo con loro.
E io sono un altro.
E questa notte non si ripeterà così.
Lacrimo appena, con forza, per cacciare via tutto.
Stemperiamo chiedendoci a chi ne parleremo, a chi non diremo.
Poi finisce la notte della coscienza.
E inizia quella del gioco.
Delle risa.
Del divertimento.
Goliardica.
Affiatatrice come nient'altro sa esserlo.
Lunga.
Di sfogo.
Scacciapensieri.
Accordacuori.
Casinara al massimo.
Vinta ai rigori.
E la maglia di una squadra che neanche sapevo.

Non so bene che sensazione lo accompagna ora.
Riccio m'ha detto che gli serviva un favore. A lui e a mio cugino.
A lui e a mio cugino.
Un "favore".
Semplice: accompagnarli all'albergo e lasciargli le chiavi della macchina. Non l'avrebbero sposata, solo aperto il portabagagli.
Partiamo in sei. Io, i due miei amici, Riccio, mio cugino e Andrea.
Lì avremmo potuto buttarci in una stanza a fare caciara, prendiamo la chitarra, si, dai.
Andrea scende a prendere la musica.
Chiedo a Riccio di che si tratta. Noi siamo pensierosi, preoccupati, contrariati. Vogliamo sapere cosa dobbiamo portare. Temiamo tutti la stessa risposta.
Riccio spaccia.
Non spinge solamente, spaccia.
E mio cugino, che c'entra?
Parla lui, riccio.
Si tratta di vino.
Lui ha lavorato lì in albergo, il custode è un suo amico. Vanno sempre lì a far caciara. E stasera, come altre volte, vuole approfittarne.
Vino. Bottiglie da centinaia di euro l'una. Già rivendute con giro organizzato.
Appoggio il braccio al volante, sguardo verso il finestrino.
So che se fosse stata droga me lo avrebbe detto. E non mi avrebbe chiesto, non mi avrebbe messo in mezzo. Conosco lui. Ancor di più mio cugino. Io sono sicuro di questo. I miei amici ovviamente no.
Silenzio dentro mentre lui parla, spiega.
Dico che non voglio sapere niente. Che mentre stiamo lì lascio le chiavi ma non voglio sapere niente.
I miei amici tacciono. Guardano in basso.
Torna andrea.
Andiamo.
In sei con la chitarra.
Spengo i fari, lascio la macchina in silenzio dietro il magazzino. Mi istruiscono sul da farsi.
Entra riccio, dopo pochi istanti è il custode ad accoglierci. Ventenne, Ennio, simpatico e tranquillo.
Attraversiamo i corridoi ognuno con sensazioni diverse.
Finiamo nella chiesa.
Strana stanza. Da una parte videogiochi,flipper. Poi un grande sipario separa dalla sala vuota. Quella una volta era il covo dei Monechitti, una setta leggendaria, dove facevano messe nere. Ora ci fanno celebrazioni religiose e incontri.
Noi suoniamo, la voce di andrea ci scalda.
Riccio esce e torna con panini, birra, limoncello; offre da padrone di casa.
Poi torna con due palloni; si fa baldoria.
Si fa baldoria mentre la stanza 208 si lamenta per il casino. Ennio ci para il culo e viene solo a dirci di far meno rumore.
Nella caciara Riccio e mio cugino se ne rivanno.
Giacomo torna con una chiave: numero 4.
Poi, dopo un po' di festa tra musica e pallonate alle colonne, ormai caldi e gasati, mi avvertono: vanno.
Gabro tace seduto. Chiuso. Raffo fa l'acrobata col pallone. Andrea canta. Io aspetto.
Tutto fatto. È meglio andare ora.
Dobbiamo portare il bottino da Giacomo.
Sensazioni diverse per ognuno.
Riccio non ha le chiavi di casa, vorrebbe andare via subito, abita vicino.
Insisto io e Giacomo, e lui capisce subito che è meglio che viene con noi. Che siano loro due a scaricare.
Scopro di non avere con me il portafogli, controllo per vedere se l'ho perso lì. Raffo dice che a casa lo aveva spostato lui. Spero e mi convinco sia lì.
Vuoi che guido io? Fa gabro. No, guido io. Ci sono dentro io. Volevo rimanessero lì. Volevo che fossimo il minor numero. solo io e loro due.
No, non mi lasciano solo.
E non vogliono rimanere lì. Sul luogo.
Andiamo.
In sei, con la chitarra, senza documenti.
E con il bottino nel portabagagli.
Hanno detto 5 casse.
Da centinaia di euro a bottiglia.
Penso a raffo che ha un pezzetto di fumo nel giacchetto.
Guido piano.
Sono le tre di notte e la strada è deserta.
La paura non c'è.
Non c'è mai stata.
Gabro pensa al racconto che ne farà nascere. L'aria inquieta, delinquente. La notte. I personaggi in macchina. I silenzi sospesi. Le immagini che rimangono impresse. I misteri. I dubbi. I piani. Le spiegazioni date poco alla volta.
Raffo dirà poi di aver chiesto a riccio se il custode sa. No.
Abbiamo migliaia di euro nel portabagagli.
E sensazioni diverse dentro.
Tutte da portare per poche centinaia i metri.
Arriviamo. Accosto.
Scendono loro due.
Raffo si offre ad aiutare.
Dirà poi che Riccio ha aperto davanti a lui una cassa, mostrando il contenuto di vino.
E' uno che sa cos'è la correttezza. Io lo sapevo e non ne avevo dubitato.
Mentre scendono in garage andrea fa poche domande, e solo ora capisce cosa sta succedendo.
Solo ora.
Non commenta. Forse per lui è più normale che per noi. Lui anche in fondo vive lì.
Non so che sensazioni ha lui dentro.
Tornano con una bottiglia di vino.
È per me. Non è del bottino. È di Giacomo che è rimasto a casa e me la manda.
Sa che del bottino non avrei voluto sapere niente.
Sa quanto è stato strano per me aiutarlo in questo.
Sa che non avrei voluto vederlo così.
Saperlo così.
Sa che non lo rifarò.
Sa che i miei amici sono stati in silenzio.
Lo sa anche riccio.
Riaccompagno andrea.
Ci saluta col suo calore vivace e puro. Spensierato. Non ci vedremo per un po'. Fino a che non tornerò a norma. Tra quelle vie, in quelle notti. Con quel vento lontano ad accarezzare tutto. A pungere.
Norma con i suoi silenzi.
Con il suo panorama che fa sembrare il mondo lontano.
E le montagne dietro a non far sentire padroni.
Solo piccoli.
Lontani.
E invisibili.
Riparto.
Fermo riccio nei suoi discorsi:
-non voglio che Giacomo si infili in queste storie.-
poche parole.
Chiare.
Quelle che bastano.

Finisce così la notte del bottino.
Inizia a casa quella della coscienza.
Davanti al silenzio di gabro che scuoto per far esplodere.
Ho bisogno anche della sua rabbia.
Della sua delusione forse.
Del suo richiamo alla responsabilità.
La morale.
Eravamo tutti e tre. si.
So bene però quanto sia stato io.
Quanto loro siano stati amici vivendo tutto con me.
Quanto loro forse si sarebbero comportati diversamente al mio posto.
Al loro è diverso. Ed è giusto così.
Anche se dividono le responsabilità.
Tutti abbiamo taciuto.
Spiego la mia preoccupazione per mio cugino.
Il mio voler esserci per una notte. Vivere questa vita, la loro; anche in questo.
Nasce in me la preoccupazione.
La malinconia.
Vivessi a norma, sarei anche io così?
So che non lo rifarei.
Ma viverlo è stato importante.
Poi l'abbraccio.
Che cerco.
Mi getto sui loro corpi.
Ne ho bisogno.
Stringo le loro mani.
Le stringo forte sul petto di gabro.
Sento il suo respiro.
E so che lui sente il mio. Il mio ritmo lungo, che riempie i polmoni per svuotarli poi di tutto.
Lui lo sente.
Ho bisogno di sapere che la mia vita è un'altra. È quella che vivo con loro.
E io sono un altro.
E questa notte non si ripeterà così.
Lacrimo appena, con forza, per cacciare via tutto.
Stemperiamo chiedendoci a chi ne parleremo, a chi non diremo.
Poi finisce la notte della coscienza.
E inizia quella del gioco.
Delle risa.
Del divertimento.
Goliardica.
Affiatatrice come nient'altro sa esserlo.
Lunga.
Di sfogo.
Scacciapensieri.
Accordacuori.
Casinara al massimo.
Vinta ai rigori.
E la maglia di una squadra che neanche sapevo.

bottinoultima modifica: 2005-11-02T14:26:54+01:00da ma.el
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